Il Silenzio nelle tracce della Maturità: imparare dai boschi e dalle montagne
Da una traccia d’esame inizia un viaggio nel silenzio delle montagne e dei boschi, riscoprendo il valore delle parole e dei pensieri.
Mia nipote sta affrontando in questi giorni l'esame di maturità, e mi ha colpito sapere che tra le tracce proposte c'era una riflessione sul silenzio ispirata dalle parole di Nicoletta Polla-Mattiot1. Mi ha fatto sorridere pensare a lei, giovane e iper-connessa, confrontarsi con un tema così estraneo alla sua generazione. Nonché che sia familiare alla mia, intendiamoci, cresciuta a "pane e televisione" come si sente spesso dire. "Tacere è ridare dignità alle parole", scrive Polla-Mattiot, e non posso fare a meno di riflettere su quanto questo concetto sia essenziale, soprattutto in un mondo dove il rumore spesso sovrasta il pensiero.
Il silenzio è l'essenza stessa della natura, particolarmente delle montagne. È un silenzio che non significa assenza di suono, tutt’altro, significa anzi presenza di vita... e un passo indietro da parte dell’uomo. Quando si è nella natura, i sensi si acuiscono. Il suono del silenzio, il profumo della foresta e la sensazione della brezza gelida sul viso danno la sensazione di essere... vivi. Goethe scrisse: "La montagna è una maestra muta per discepoli silenziosi. E più si sale in alto, più si scende dentro sé stessi."
Il silenzio permette una riflessione profonda e un ascolto attento, ridando dignità ad ogni singola parola che si manifesti nella mente. In un mondo frenetico, è uno strumento prezioso per connettersi con se stessi e la natura. Il silenzio della montagna, in particolare, offre un rifugio dove la mente si libera dai pensieri quotidiani e può riflettere in profondità spinto dalle verticalità fisica delle vette.
Ricordo una camminata verso il Lago delle Baste vicino al Passo Giau, nelle Dolomiti venete. Il silenzio avvolgeva ogni cosa, il respiro diventava faticoso, quasi sospeso. Eravamo insieme ma soli, immersi in una strana e irreale solitudine. Solo il suono del vento e il rumore dei nostri passi ci accompagnavano in questa avventura tra le montagne. Eppure, nonostante la solitudine, era come se la terra fosse piena di spiriti. In ogni sasso, in ogni albero, in ogni goccia d’acqua che scorreva tra le rocce, sembrava esserci una vita nascosta, un respiro invisibile ma potente.
In questo silenzio assoluto, ad ogni passo la mente si liberava dai pensieri più pesanti che gravavano nei nostri “zaini” e ci sentivamo parte di un tutto. Ci sentivamo piccoli e allo stesso tempo immensi; era come se le montagne stessero parlando direttamente alla nostra anima. Così, immersi in questo paesaggio mozzafiato, si avvertiva la bellezza e la fragilità della natura, il suo potere ma anche la sua vulnerabilità.
Il silenzio stesso può parlarci. Come la montagna, è sempre più fragile, ma ci parla con una voce sottile e potente, ricordandoci la bellezza di ascoltare, di osservare e di essere presenti nel momento presente.
Nicoletta Polla-Mattiot è giornalista, saggista e docente, specializzata in filosofia del linguaggio e del silenzio. Fondatrice dell'Accademia del Silenzio, ha dedicato la sua carriera a esplorare l'importanza del silenzio nella comunicazione e nella vita quotidiana. Per maggiori informazioni, visita Accademia del Silenzio.
Che belle tracce per la #primaprova di #maturità
Riflettiamo:
Testo tratto da: Nicoletta Polla-Mattiot, Riscoprire il silenzio. Arte, musica, poesia, natura fra ascolto e comunicazione, BCDe, Milano, 2013, pp.16-17.
«Concentrarsi sul silenzio significa, in primo luogo, mettere l’attenzione sulla discrezionalità del parlare. Chi sceglie di usare delle parole fa un atto volontario e si assume dunque tutta la responsabilità del rompere il silenzio.
(…) Ma il silenzio è anche pausa che dà vita alla parola. La cesura del flusso ininterrotto, spazio mentale prima che acustico. […] Nell’intercapedine silenziosa che si pone tra una parola e l’altra, germina la possibilità di comprensione. Il pensiero ha bisogno non solo di tempo, ma di spazi e, come il linguaggio, prende forma secondo un ritmo scandito da pieni e vuoti. È questo respiro a renderlo intelligibile e condivisibile con altri.
(…) Il silenzio è poi condizione dell’ascolto. Non soltanto l’ascolto professionale dell’analista (o dell’esaminatore, o del prete-pastore), ma della quotidianità dialogica.
(…) Si parla «a turno», si tace «a turno».
E poi il mio mito
Rita Levi-Montalcini, Elogio dell’imperfezione, Baldini + Castoldi Plus, Milano, 2017, pag.18.
«Considerando in retrospettiva il mio lungo percorso, quello di coetanei e colleghi e delle giovani reclute che si sono affiancate a noi, credo di poter affermare che nella ricerca scientifica, né il grado di intelligenza né la capacità di eseguire e portare a termine con esattezza il compito intrapreso, siano i fattori essenziali per la riuscita e la soddisfazione personale. Nell’una e nell’altra contano maggiormente la totale dedizione e il chiudere gli occhi davanti alle difficoltà: in tal modo possiamo affrontare problemi che altri, più critici e più acuti, non affronterebbero.
Senza seguire un piano prestabilito, ma guidata di volta in volta dalle mie inclinazioni e dal caso, ho tentato […] di conciliare due aspirazioni inconciliabili, secondo il grande poeta Yeats: «Perfection of the life, or of the work». Così facendo, e secondo le sue predizioni, ho realizzato quella che si può definire «imperfection of the life and of the work». Il fatto che l’attività svolta in modo così imperfetto sia stata e sia tuttora per me fonte inesauribile di gioia, mi fa ritenere che l’imperfezione nell’eseguire il compito che ci siamo prefissi o ci è stato
assegnato, sia più consona alla natura umana così imperfetta che non la perfezione.»
Testo tratto da: Maurizio Caminito, Profili, selfie e blog, in LiBeR 104, (Ottobre/Dicembre 2014), pp.39-40.
«Quando cambia il modo di leggere e di scrivere, cambiano anche le forme più consolidate per trasmettere agli altri (o a se stessi) le proprie idee e i propri pensieri. E non c’è forse nessuna forma letteraria (o para- letteraria) che, nell’epoca della cosiddetta rivoluzione digitale, abbia subìto una mutazione pari a quella del diario.
Il diario segreto, inteso come un quaderno o un taccuino in cui si annotano pensieri, riflessioni, sogni, speranze, rigorosamente legati alla fruizione o (ri)lettura personale, non esiste più. Non solo perché ha mutato forma, lasciando sul terreno le sembianze di scrigno del tesoro variamente difeso dalla curiosità altrui, ma perché ha subìto un vero e proprio ribaltamento di senso.
Nel suo diario Anna Frank raccontava la sua vita a un’amica fittizia cui aveva dato il nome di Kitty. A lei scrive tra l’altro: “Ho molta paura che tutti coloro che mi conoscono come sono sempre, debbano scoprire che ho
anche un altro lato, un lato più bello e migliore. Ho paura che mi beffino, che mi trovino ridicola e sentimentale, che non mi prendano sul serio. Sono abituata a non essere presa sul serio, ma soltanto l’Anna ‘leggera’ v’è abituata e lo può sopportare, l’Anna ‘più grave’ è troppo debole e non ci resisterebbe.”
Chi oggi scrive più in solitudine, vergando parole sui fogli di un quaderno di cui solo lui (o lei) ha la chiave?
Chi cerca, attraverso il diario, la scoperta di un “silenzio interiore”, “la parte più profonda di sé”, che costituirà, per chi lo scrive, il fondamento dell’incontro con gli altri? I primi elementi a scomparire sono stati la dimensione temporale e il carattere processuale della scrittura del diario, non tanto rispetto alla vita quotidiana, quanto nei confronti di un formarsi graduale della personalità. https://www.facebook.com/LoSpaziodiElenaFossati